Libertà di espressione e salute in tempi di Covid-19

Un recente articolo, il cui titolo tradotto suonerebbe “Anche in caso di pandemia, la luce del sole è il miglior disinfettante”, ad opera di Michael Karanicolas, resident fellow della Yale Univeristy, ancora in preprint sul Social Science Research Network [1], ci offre un’analisi esaustiva sulla libertà di espressione in tempi di COVID-19.

La luce solare non è chiaramente quella fisica, sebbene anche essa effettivamente disinfettante, ma quella della trasparenza che l’autore ricorda essere la migliore strategia possibile. Per dimostrarlo ripercorre inizialmente la giurisprudenza e la politica degli ultimi decenni sulla libertà di espressione, per poi giungere all’attuale dibattito sulla base anche di quanto avvenuto in molte nazioni.

Prima di ripercorrere tali argomentazioni ritengo utile soffermarmi su un aspetto ben noto al lettore statunitense, ma diversamente non necessariamente evidente: nella costituzione americana il diritto alla libertà di parola, di stampa e di riunione è enunciato dal Primo Emendamento, il primo dei dieci che costituiscono la Dichiarazione dei Diritti, parte fondante della storia degli Stati Uniti.

Chiaramente non solo negli Stati Uniti, ma più genericamente in tutto l’Occidente la libertà di parola è da tempo parte integrante della nostra cultura, al punto che – come riporta l’autore – è emblematica la sentenza della Corte Suprema del Canada che nel 1992 dichiara “anacronistica” l’ipotesi di porvi limiti. Posizione peraltro confermata dalla Commissione per i Diritti Umani che nel 2011 afferma esplicitamente che la libertà di opinione non dovrebbe mai essere oggetto di riduzione neanche in uno stato di emergenza.

Nondimeno in molti paesi già esistevano specifiche limitazione, per quanto chiaramente delimitate, come ad esempio le leggi contro l’apologia del fascismo, o contro la negazione dell’Olocausto. La storia inoltre ci insegna che in tempi di guerra la prima vittima è sovente la libertà di parola. Metafora che, in era pandemica, è ampiamente risuonata nelle dichiarazioni di molti governi e, sebbene chiaramente non si sia in guerra, il rischio concreto è che come se davvero lo fossimo la libertà di parola ne sia vittima.

L’autore riporta che nel tentativo, sincero o meno che sia, di prevenire le fake news in ambito coronavirus nel corso del 2020 sono state varate nuove leggi, o nuove interpretazioni di leggi esistenti, con misure decisamente sproporzionate, tra cui anche detenzioni decennali comminate a giornalisti e a semplici cittadini, in vari paesi, tra i quali l’Ungheria, la Tailandia, lo Zimbabwe, l’Algeria, la Namibia, l’India, il Botswana, l’Armenia, il Bangladesh, La Cambodia, il Venezuela, il Chad, l’Iran, il Myanmar, le Filippine, l’Egitto, il Nepal.

In molti casi le misure hanno fornito la scusa per penalizzare ogni tipo di opposizione, tanto che l’autore sintetizza che

I governi di tutto il mondo stanno trattando la pandemia come un assegno in bianco per reprimere il dissenso, con il potenziale per un cambiamento duraturo nel modo in cui la libertà di espressione viene intesa e protetta”.

Come è noto, anche in Occidente è in atto il dibattito sulla presunta necessità di limitare la libertà di espressione su temi caldi. La situazione internazionale dovrebbe farci da monito e ricordarci che anche ammesso che sia indispensabile limitare la diffusione di alcune false informazioni le misure dovrebbero almeno: essere chiaramente definite nei contenuti proibiti; consentire la possibilità di errore in buonafede in ambiti per loro natura mutevoli; essere provvisorie e delimitate nel tempo, prevedere pene proporzionate all’azione compiuta.

Anche ferme restando queste minime accortezze, purtroppo tutt’altro che scontate, l’autore ritiene comunque controproducente la limitazione della libertà di espressione che dovrebbe semmai essere affiancata, diversamente da quanto invece avvenuto, da una gestione trasparente in grado di evidenziare la maggiore affidabilità delle fonti governative. Poiché, citando,

la salute pubblica dipende molto dalla fiducia pubblica

e quest’ultima si guadagna con la trasparenza, non con la censura del dissenso.

A maggior ragione di fronte al fallimento del contenimento epidemico, ad esempio in Iran, paese che certo non spicca per libertà di parola. Appare inoltre necessario riflettere sul fatto che la Cina, nonostante sia di fatto una spietata dittatura, è da molti lodata come esempio da seguire per la gestione epidemica, sebbene sia anche il paese che ha arrestato Li Wenliang, il medico di Wuhan che ha tentato di lanciare un tempestivo allarme. Si può pertanto affermare che la diffusione sia stata favorita proprio dall’assenza di libertà di parola che si vorrebbe porre a misura di contenimento.

Vorrei concludere, abbandonando l’analisi dell’autore alla quale rimando sia per approfondimenti che per tutti i riferimenti, rispondendo preventivamente a una domanda che potrebbe sorgere nel lettore: perché uno psicologo si occupa di riportare temi apparentemente di pertinenza della politica e della giurisprudenza? Ebbene, tralasciando che i diritti fondamentali, come quello di libertà di espressione chiaramente è, sono tematica che pertiene ogni cittadino, vorrei rispondere che la libertà di parola è tutt’altro che tematica aliena alla psicologia. Ricordo che la parola ha valenza terapeutica per la psicologia clinica e la comunicazione è il nodo focale della psicologia sociale. Invito chi non mi credesse a rispolverare, ad esempio, la teoria del Doppio Legame di Gregory Bateson e le tesi sulla comunicazione di Paul Watzlawick. Una volta appurata la centralità della comunicazione, invito io a rispondere alla domanda: quanto è importante, anche per la nostra salute psichica, difendere il diritto alla libertà di parola?

1. Karanicolas, M. (2020). Even in a Pandemic, Sunlight is the Best Disinfectant: COVID-19 and Global Freedom of Expression. SSRN Electronic Journal. https://doi.org/10.2139/ssrn.3726892


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Pubblicato da Benedetto Tangocci

Psicologo clinico, http://psicologotangocci.it/

2 pensieri riguardo “Libertà di espressione e salute in tempi di Covid-19

  1. Rispondo alla domanda dell’Autore dell’articolo : comunicare, significa sentirsi parte di un contesto, nel quale viviamo. Proviamo a stare giorni, mesi, senza parlare con qualcuno, senza manifestare le proprie emozioni, i propri sentimenti ad altre persone, quale effetto si produce nella nostra sfera mentale? E’ facilmente intuibile, ci sente isolati, e peggio ancora abbandonati, dimenticati. E, un fenomeno di questo genere, innesca nella nostra psiche , depressione, limitazione della nostra capacità cognitiva, e, talvolta, persino la paura di avere contatti con il prossimo. Esprimo queste considerazioni, perchè le ho vissute in prima persona. Al termine di un percorso di riabilitazione neurologica durato alcuni mesi e postumo ad un grave trauma cranico, con perdita della memoria, sentivo un bisogno impellente di comunicare. E questo istinto mi portava a conversare con molte persone, molte delle quali non conoscevo, provavo una sensazione di felicità. Mi rendevo conto che, poichè comunicavo, riuscivo ad elaborare pensieri complessi, perchè comunicare significava l’attivazione delle sinapsi, quei punti di contatto tra due cellule nervose, che servono a propagare gli impulsi nervosi. I neurotrasmettitori erano in funzione. Nella mia esistenza ho capito che ogni esperienza emotivamente intensa , modifica sia il funzionamento che la strutture cerebrale, il dolore crea coscienza , crea cervello. E, nei tempi che stiamo vivendo, il distanziamento sociale, provoca la mancanza di comunicazione e questo provoca dolore, ma impedisce l’elaborazione della crisi sia a livello chimico, che di consapevolezza, creando una regressione del cervello, in termini di crescita e maturazione. Per questi motivi la libertà di parola, di comunicazione in genere, è importante per la nostra salute psichica. Il distanziamento sociale previsto per contenere la diffusione del Covid 19, provoca, a mio parere, la diffusione di un altro virus letale : la paura e con essa la tendenza all’isolamento personale e sociale.

    Loris Mauro

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