Chi aiuta le professioni di aiuto? Le caratteristiche psicologiche anti-esaurimento emotivo

Un recente articolo su Frontiers of Psychology affronta un tema fondamentale per questo periodo: la fatica delle professioni di aiuto, ed in particolare quella dei medici generici. Il tema può estendersi a tutte le figure sanitarie che in questo momento sono subissate di richieste di cura, rassicurazione, contenimento, ed il tutto in assenza di linee guida precise e chiare.

Durante questa emergenza infatti, i medici generici italiani, quelli ospedalieri, gli infermieri e altre figure sanitarie, stanno garantendo l’accesso continuo alle cure primarie per i cittadini e un costante supporto, assorbendo una maggiore quantità di stress dovuto all’impatto della crisi rispetto a molti altri gruppi professionali. Lo scopo dello studio qui descritto è stato quello di esplorare le relazioni tra le dimensioni del burnout e le caratteristiche psicologiche di un gruppo di medici di base durante l’emergenza COVID-19.

Che cos’è il burnout? Il burnout è una sindrome psicologica che si manifesta in risposta allo stress cronico correlato al lavoro, con caratteristiche che comportano esaurimento emotivo, spersonalizzazione e un senso di riduzione della realizzazione personale. È comune tra gli operatori sanitari che sono spesso esposti a livelli elevati di stress professionale, soprattutto a causa di interazioni emotive e interpersonali emotivamente travolgenti.

Il burnout tra gli operatori sanitari è stato oggetto di numerose ricerche perché ai suoi livelli più alti sono associati impatti negativi su singoli medici, pazienti, organizzazioni e sistemi sanitari. 

Come ben sappiamo (si veda la letteratura di riferimento) la gestione dell’emergenza ha avuto un impatto sulla salute mentale della popolazione generale importante, producendo alti livelli di stress e depressione, soprattutto in coloro che sono meno informati o peggio informati, che hanno più paura, che sono più a rischio di contrarre il virus o che appartengono alla popolazione infantile e adolescenziale. Sotto questa tremenda minaccia esistenziale, i medici di base hanno continuato e continuano a garantire l’accesso alle cure primarie per i cittadini: nel segnalare le infezioni, nel supportare le reti di assistenza regionale, nel trattare i pazienti con sintomi minori e nel prendersi cura delle persone preoccupate, svolgono un ruolo fondamentale nel sopprimere qualsiasi pandemia e nell’affrontare condizioni di alta complessità sanitaria. In definitiva, il loro lavoro di assistenza primaria dovrebbe prevenire il sovraffollamento nei reparti di emergenza e di conseguenza limitare la diffusione della malattia.

In questo contesto, i medici di base devono affrontare sfide professionali e personali, evidenziando grandi differenze tra i paesi. Ad esempio, in Italia, i medici di base che hanno storicamente svolto un ruolo importante e personale nella vita delle famiglie, si sono ritrovati a dover modificare i loro metodi di pratica utilizzando telefonate e altri approcci digitali, limitando i contatti personali con i loro pazienti. A causa di questi cambiamenti, alcune funzioni tipiche dell’assistenza primaria sono state inevitabilmente trascurate e alle professioni di aiuto sono affidate nuove responsabilità, come i protocolli di sicurezza aggiuntivi, l’apprendimento di nuove tecnologie e le e-mail quotidiane per le prescrizioni.

Così, ora più che mai, i medici di base italiani stanno affrontando carichi anormali di lavoro, condizioni cliniche e organizzative stressanti e carichi emotivi che stanno mettendo alla prova la loro capacità di resistere allo stress.

Dagli studi fin qui svolti, è diventato evidente che alcune caratteristiche psicologiche individuali possono prevenire lo sviluppo del burnout.

Ad esempio la resilienza psicologica, descritta come la capacità di “riprendersi” da esperienze emotive negative e di adottare soluzioni flessibili alle mutevoli esigenze di esperienze stressanti, è già emerso essere il principale fattore protettivo del burnout tra gli infermieri, con minor rischio di esaurimento emotivo, spersonalizzazione e scarsi risultati personali.

Inoltre, può essere utile prendere in esame le diverse strategie di coping nello sviluppo o nella prevenzione della sindrome da burnout. Quando gli individui sperimentano lo stress, possono infatti fare affidamento sui meccanismi di coping, o fronteggiamento, diversi, che nel nostro caso possono essere focalizzati:

  • sul problema (cercando di modificare attivamente l’ambiente stressante concentrandosi sulla risoluzione dei problemi), oppure
  • sulle emozioni (gestendo la risposta emotiva ai fattori di stress, concentrandosi sulla dimensione emozionale piuttosto che sul compito).

Quali di queste caratteristiche possono dunque aiutare le professioni di aiuto? Innanzi tutto, è emerso che il gruppo ad alto rischio di burnout ha mostrato una minore resilienza e il ricorso ad una strategia di coping meno orientata al compito rispetto al gruppo a rischio medio.

Inoltre, il gruppo con un burnout elevato è stato caratterizzato da un maggiore utilizzo di strategie emotive per ridurre lo stress rispetto ai gruppi a minor rischio e da un maggiore evitamento dell’incertezza, oltre che dalla paralisi di fronte ad essa.

L’attivazione di strategie emotive è associata a una risposta meno funzionale all’emergenza. Questi dati sono probabilmente influenzati dal fatto che le attività dei medici di base sono limitate da determinate regole e dall’impossibilità di utilizzare risultati clinici concreti per gestire i sintomi dei pazienti e la progressione della malattia. Il coping orientato all’emozione è strettamente correlato ad un più alto senso di responsabilità nel risolvere altri problemi (ad esempio: “Mi rimprovero per non sapere cosa fare”); correlato a questo il mancato rapporto medico-paziente e l’assenza di protocolli medici chiari ha generato un maggiore senso di inefficacia e frustrazione nelle reazioni immediate alla pandemia.

La risorsa primaria per evitare la tendenza a considerare i colleghi e i pazienti come oggetti disumanizzati sembra essere il coping orientato al compito che, in linea con la ricerca precedente, rappresenta una risposta proattiva e concreta allo stress.

In una situazione altamente stressante come l’emergenza COVID-19, l’enfasi su un’azione orientata al compito, la pianificazione e la risoluzione dei problemi, piuttosto che una strategia orientata alle emozioni, sembra essere un modo più efficace per fornire assistenza senza spersonalizzazione.

Sulla base di questi risultati, sarebbe opportuno che i sistemi medici in Italia sviluppassero programmi per la prevenzione e il trattamento delle sindromi da burnout nei medici di base e, più in generale, sulle professioni di aiuto sanitarie.

Occorre comprendere che nel contesto di una crisi come una pandemia, le strategie di risoluzione dei problemi possono fare di più per prevenire il burnout e la spersonalizzazione tra i professionisti medici, e possono aiutare a personalizzare la formazione e la preparazione per le figure professionali di prima linea del futuro.

E i cittadini cosa possono fare? Di certo, comprendere la situazione e la sua complessità. Da quanto emerso infatti, si può ipotizzare che le situazioni caotiche e i protocolli in continua evoluzione abbiano influenzato l’autoefficacia e abbiano avuto un impatto diretto sulla vita personale ed emotiva dei medici. Dietro al loro lavoro non c’è solo ciò che è visibile, ma anche un intricato mondo di richieste, pretese, responsabilità e rischi non immaginabili per chi non è addetto ai lavori.

In conclusione, i risultati di questo studio hanno mostrato un impatto sulla gestione del lavoro dei medici generici durante l’emergenza COVID-19. L’implementazione della gestione dei problemi orientata al compito, piuttosto che delle strategie emotive, sembra proteggere dal burnout. Inoltre, questi risultati supportano la necessità di organizzare interventi sia formativi che psicologici per i medici di base, con l’obiettivo di fornire loro maggiori competenze nella regolazione emotiva in generale e, nel corso di un’emergenza, supportare la loro capacità di elaborare esperienze emotive intense, che può influire sulla qualità del lavoro medico.

Fonte: Di Monte C., Monaco S., Mariani R., and Di Trani M. (2020) From Resilience to Burnout: Psychological Features of Italian General Practitioners During COVID-19 Emergency Front. Psychol., 02 October 2020 | https://doi.org/10.3389/fpsyg.2020.567201

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Pubblicato da Silvia Salese

Psicologa | Clinica, formazione e docenza - www.silviasalese.com

Una opinione su "Chi aiuta le professioni di aiuto? Le caratteristiche psicologiche anti-esaurimento emotivo"

  1. Aggiungerei che dopo prima ondata il mondo delle pretese assurde di qualche paziente e/o lo scaricare la propria psicosi da paura di virus sul medico e/o la saccenza nel definire le proprie cure per averlo sentito in tivu da “burioni” amplificano il rischio da burn out. Un corso per “disinnescare” qeluesti pazienti mine vaganti o per ricpndurli nel seminato potrebbe aiutare il medico di base? O un affiancamento in studio? Saluti Massimiliano

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